Dopo l’improvvisa scomparsa dei genitori, della routine bizzarra ma felice che condivideva con loro non resta pressoché nulla alla piccola Sarasa. Trova, perciò, del tutto naturale far perdere le sue tracce e insediarsi da un giorno all’altro nella casa dell’unica persona che le ispira fiducia, Funi, un universitario gentile con un ambiguo debole per bambini e bambine.
L’inusuale convivenza viene, però, presto scoperta e data in pasto ai mass media: se per l’opinione pubblica l’uno è un pedofilo senza scrupoli, l’altra è considerata una vittima indifesa con la sindrome di Stoccolma. Sarasa non si sente tale neppure una volta diventata una giovane donna e, anzi, non può fare a meno di ripensare con un pizzico di nostalgia al particolare rapporto con Funi. Come andare avanti e liberarsi del passato? E in che modo sbarazzarsi dell’invadenza e dell’ipocrita pietà di una società che giudica senza conoscere?
I temi che Nagira Yuu tocca nel suo ultimo romanzo “Luna nomade” sono molti e tutti all’ordine del giorno: mascolinità tossica, violenza sulle donne, pervasività della tecnologia, tutela della privacy delle persone minorenni, legami sopra le righe…
Il libro, in breve, sottolinea la traduttrice Marta Fanasca, offre “uno scorcio sulla diversità delle relazioni e dei sentimenti, che in molteplici modi e in differenti fasi della vita possono unire due persone anche al di fuori delle norme sociali”.
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